mercoledì 6 dicembre 2017

NATALE



                                                             NATALE
Natale, quando ero piccola ricordo solo presepi, fino ai dieci anni.
Poi con zio Gaetano che arrivava da Torino a trascorrere il Natale con noi, arrivò anche l'albero di Natale. Ingegnosamente lui cercava un bel ramo di ulivo (da noi i pini non c'erano) lo metteva in un vaso e l'addobbava con caramelle, aranci. mandarini e quanto era possibile trovare da noi.
Paolo mio cugino era più piccolo di me di circa quattro anni ma avevamo una perfetta intesa. Si giocava nella stanza grande di mia madre al terzo piano della casa in cui abitavamo allora e questa diventava teatro dei nostri giochi. Ci impadronivamo di una bella vestaglia di zia Maria (sua madre) dei suoi belletti, i suoi cappellini e di fronte al grande specchio dell'armadio di mia madre ci esibivamo copiando scenette dai giornalini che avevamo. Cercando e frugando avevamo scoperto una bottiglia di un certo liquorino rosso molto dolce e ne approfittavamo a berlo di nascosto e forse anche quello ci aiutava ad essere allegri e ridevamo come matti. Io mi divertivo ad intrecciare dei nastri tra le dita dei piedi per creare scarpette dalle fogge più strane.
Il natale mi ricorda i miei presepi:
Iniziavo a prepararli già verso la fine di novembre e ricordo i vari posti nelle varie case in cui abbiamo abitato.
Se la mamma pensava che non avremmo avuto ospiti e per mangiare, anche a Natale, bastava il tavolo della ampia cucina, mi consentiva di allestirlo sul lungo tavolo della sala da pranzo.
Per l'occasione me lo faceva appoggiare al muro ed allora era una festa.   Chiedevo ai parenti che si recavano nei campi di portarmi del muschio vero (quello finto non si vendeva da noi come non si vendeva alcun altro elemento)  raccattavo cartoni, carta rossa delle caramelle Rossana, carta argentata di qualche raro involucro di cioccolato ricevuto in regalo e persino la stagnola, appositamente pulita, dei formaggini che qualche volta mangiavo a merenda.
   Cominciavo con il fabbricare le casette, alle finestre mettevo appunto la carta rossa delle caramelle poiché quando tutto era allestito dentro le casette mettevo dei bicchieri con acqua e poi olio che galleggiava e sopra un lumino acceso per creare le luci rosse .    Ritagliavo la stella cometa, un angelo disegnato alla meglio, riciclavo la carta da pacchi per creare le montagne e fare la grotta.
   Uno sfondo di stelle su carta azzurra, stelle stampate da me, montagne marroni striate di calce bianca, stradine di farina in mezzo all'erba vera di muschio, specchietti e carta argentata per laghetti da sogno, ruscelli disegnati con fili d'argento e pochi, pochissimi personaggi di terracotta arrivati per caso e comprati a Vasto negli anni.
I principali protagonisti, non mancavano. Maria Giuseppe e il bambino adagiato la notte di Natale appena arrivata da messa. Immancabile un pastorello con un agnello sulle spalle, una lavandaia al ruscello e qualche pecorella al pascolo. Due ochette sul laghetto e tanta tanta fantasia da bastare a renderlo il presepe più bello del mondo tanto da chiamare i vicini a vedere questo capolavoro.
Con il tempo sono riuscita ad avere anche i tre Re Magi che mettevo fin dall'inizio avvicinandoli man mano fino al giorno della befana. Il mio ricordo più bello dei miei solitari Natali di bimba.
A Torino poi facevo gli alberi con giochi di luci a intermittenza e anche da grande passavo ore a contemplarli e a creare diverse composizioni di giochi di luce.
Viva il Natale, che sia festa di pace per tutti
                                       Maria Mastrocola Dulbecco

venerdì 1 dicembre 2017

sSullo scrivere


Sul leggere e scrivere

 Una nemica dello scrivere e leggere è la pigrizia.

Qualche volta i pensieri vogliono restare segreti. I ricordi affiorano ma non  si ha voglia di comunicarli o meglio:  ci assale la stanchezza... forse più la pigrizia e si rimanda tutto a domani   domani   domani.

Così facendo i giorni diventano settimane, le settimane mesi, i mesi anni. Gli anni decenni…

Con il passare degli anni la lettura diventa  rallentata e la scrittura peggio.

Ma quando si scrive ricordarsi che:

Prima di tutto per saper scrivere, bisogna saper leggere!!! 
    Maria Mastrocola Dulbecco


 

domenica 12 novembre 2017

Siamo come il ciao Piaggio

Il testo di un nuovo amico:


SIAMO COME IL CIAO PIAGGIO

 

Lei se n‘è andata, mi ha lasciato,

non so ancora, davvero,

non so dove ho sbagliato

abbiamo insieme riso

le sue lacrime ho asciugato

e non so quante volte ho accarezzato il viso.

Basta da oggi mi voglio vender caro

non voglio avere in bocca

quel cattivo gusto amaro,

da domani il mio cuore più non si tocca

lo metto a doppia chiave

nascosto in una rocca,

domani sarò cinico, sarò un duro

non voglio sbatter più

la testa contro il muro.

Stasera esco, si va a far soffrire donne.

clic clac screec

cazzo.... che bella luna c'è stasera

non è mancanza di coraggio

se siamo come un ciao piaggio

non si cambia mai.

 

Rino Pedone

giovedì 9 novembre 2017

Consigli


Consigli agli allievi Unitre

Non pensare di essere arrivati troppo tarsi per sedersi a scrivere una storia.

Non si arriva mai troppo tardi, guai se tutti gli scrittori avessero pensato questo. Si sarebbe fermata  la letteratura e atrofizzati tutti i cervelli.
Ognuno ha il suo modo di raccontare, vi sono persone nate per questo, sono “narratori nati” io in famiglia  avevo zia Graziuccia, che  era nata per raccontare e da piccola mi dicevano che le assomigliavo.
Le vostre  paginette mi dimostrano che, se volete, potete  raccontare e rivestire una storia con le vostre  parole. Si scrive prima per se stessi e poi per gli altri.
 Cercate di essere  sintetici e poi con la vostra  proprietà di linguaggio, potrete inventare qualsiasi storia, basta osservare il mondo che vi circonda.
 Imporsi di scrivere ogni giorno qualcosa, anche solo dieci minuti ma farlo sempre, anche se quello che scriviamo, dopo una attenta lettura, finisce nel cestino.
Grazie per quanto mi avete dato e continuate a darmi con le vostre dimostrazioni di affetto apprezzando il poco che riesco a fare per voi.

Gli anni avanzano e le forze vengono meno ma, quando sono con voi dimentico l’età e  rivedo questi 15 anni con grandissima soddisfazione ringraziando il cielo che mi ha concesso questa bellissima vecchiaia.

Grazie a tutti

                                                                 Maria Mastrocola Dulbecco

 .

giovedì 31 agosto 2017

Strada San Salvo-buona notte (ricordi)


 All’IMBRUNIRE   SULLA STRADA  DA SAN SALVO  A  BUONANOTTE

 

C’è un momento della sera in cui è particolarmente gradevole indugiare per le strade periferiche dei paesi.

È quel momento che precede la sera ed è troppo presto per accendere le luci e troppo tardi per distinguere bene il circostante.

È un’atmosfera magica, da assaporare con il fiato sospeso, tanto l’attimo è fuggente.

Nell’aria si avverte qualcosa che fa vibrare il nostro essere e la nostra sensibilità si fa più attenta.

Sono in vacanza e mi è caro passeggiare a quell’ora, lungo quella strada che percorrevo ogni giorno, ragazzina, inseguendo i miei sogni.

Allora quella strada era silenziosa e quasi deserta, portava in periferia, fiancheggiata da oliveti e da stradine che si immettevano nei campi a interrompere la linea continua di quell’asfalto bruno.

Le persone che incontravo erano poche, ma le conoscevo tutte.

Ora, con meno sogni, ma con il desiderio di rivivere emotivamente quei momenti, cammino e osservo attenta.

Tutto innanzi al mio sguardo è uguale negli sfondi che intravedo tra le nuove case ma è diverso nei particolari. È uno scenario molto più popolato, però io mi sento sola.

Nessuno saluta me e nessuno ho da salutare io.

Ho provato più giorni a rifare quel percorso e tutto si ripete sempre uguale.

Suggestionata dall’ora e sicuramente dalla recente lettura di un romanzo di letteratura fantastica di Bioy Casares, mi sembra di percorrere una strada popolata da persone che ripetono periodicamente la stessa strada, con passi e gesti sempre uguali e alla stessa ora del giorno precedente.

Come nell’ “Invenzione di Morell”, le persone che vedo affollare il viale, in quel magico silenzio senza più ombre, scivolano silenziose e sembra obbediscano ad un preciso ordine prestabilito.

In silenzio, senza interruzione, si avvicendano e ricevo l’impressione di vedere persone che agiscono in uno scenario irreale e reale allo stesso tempo, appunto come nell’invenzione di Morell che consisteva nell’essere riuscito a riprodurre un periodo di vita ripetitivo che si attuava azionato da una complessa macchina messa in movimento dall’alta marea.

Vi sono immersa ma non ne faccio parte. Quel mondo fantastico prende consistenza nei miei pensieri. Io desidero far parte del loro mondo ma contemporaneamente me ne sento esclusa.

C’è una barriera a dividermi da loro: la barriera del tempo.

Il loro mondo mi appare uguale, ripetitivo di anno in anno. Gli stessi volti, gli stessi gesti. Ripropone situazioni ed azioni in cui non è possibile immettersi e dove per caso mi trovo apassare senza nessuna possibilità di interloquire con loro.

La tentazione di fermarmi e chiedere se vivo nella loro realtà è forte, tento di fare un gesto per fermare qualcuno, lo faccio.

Nessuno si accorge della mia presenza.

Proseguo la mia strada affascinata, guardo quell’imbrunire che tende ormai alla notte ed affretto il passo verso casa.

Quella casa che appartiene al mio presente e corro a ritrovare quegli affetti senza i quali mi è difficile continuare il cammino.

 

1985                                               Maria Mastrocola Dulbecco

 

 

 

 

 

 

 

sabato 19 agosto 2017

Un sogno d'estate

Troppo belli questi versi di LUCIA

4 agosto alle ore 2:55
UN SOGNO D'ESTATE

  E se riuscissi nel labirinto
di un sogno d'estate
a guardare in fondo
alle onde che incessanti
approdano tra i miei piedi nudi?
Andrei lì in quegli occhi verdi
a scrutare l'anima
a scrutare il tuo io vagabondo
che percorre solitario
il sentiero del mio cuore stanco.
Amo, si amo il tuo spirito
che incontra il mio ormai spaurito.
Non posso, non posso più
allontanarmi dal tuo cuore
che guarda con occhi lucidi
il mio che va incontro al tramonto.
E intanto ascolto,
ascolto la tua voce mai stanca
di parlare, che penetra lungo i fianchi
del mio emisfero addormentato
e lo sveglia dal sono saraceno.
Aiutami amore mio, aiutami a contare
i giorni che restano a questa vita
raminga e solitaria
a questo mio corpo ancora pieno di te.

  LUCIA GIONGRANDI

domenica 13 agosto 2017

RICORDI UNITRE 2012

Sfogliando tra gli scritti dei miei amici  del "Laboratorio di scrittura unitre, ho trovato un simpatico scritto di  RINALDO  AMBROSIA e mi piace riproporlo:




Partitura per versi e prosa

Sono voci che in quell’aula prendono forma.
Dapprima incerte, flebili, timorose, accennate. Parte il solista e il direttore inizia a scandire i tempi, a dirigere la partitura. Tu ti ritrovi tra altre persone che danno forma e vita alle loro pagine, alle loro parole. C’è un passato che si srotola, tra gioie e dolori, tra le pagine di vita e le storie che si intrecciano, che scaturiscono da un’infanzia comune. Luci e ombre di amori negati. Gesta di genitori che hanno cresciuto i figli sotto una pioggia di bombe.
Ci sono passioni sopite che urlano forte la loro presenza e la gioia di un verso fa capolino come un raggio di sole. Una partitura ti accompagna tra i sentieri agresti. Storie di città; oggetti che, come relitti, affiorano dal passato. E tu navighi, cullato dal suono delle storie, percorri sentieri che mai avresti conosciuto.
La poesia si fa spazio, ti sembra una fata che cammina a piedi nudi nella rugiada del bosco, ma il laboratorio reclama forte l’uomo faber. Il direttore d’orchestra chiede l’attenzione dei musicisti e allora, a casa, nelle pieghe del silenzio, tra gli spazi vuoti del giorno, chiudi fuori gli affanni e inizi a scrivere e a comporre.
Superi l’impatto dell’onda bianca del foglio, ti sembra una slavina che si infrange sui tuoi occhi e fa male quel biancore che ferisce. Scrivi, mentre acchiappi i tuoi sogni, imbrigli le tue passioni e trascini tutto sulla carta; lì vedi le parole nascere, un’aiuola che sboccia e fiorisce. Un soggetto va alla ricerca del suo predicato, un attributo cerca il suo sostantivo, mentre la congiunzione si lega a due periodi. Consegni alla scrittura il tuo mondo interiore, tutta la tua vita. É una partitura musicale che abbandona il foglio e si diffonde nell’aria.
Nel fare ciò, c’è un senso di piccolezza che ti coglie, ti sembra di rimpicciolire tutto, di farti da parte mentre la parola s’ingrossa e prende forma, mentre la storia cresce e si dipana. Sembra che ti spinga fuori, che ti releghi al ruolo di osservatore.
Tu sei solo un padre occasionale, lei è lì che vuole nascere e vedere la luce. Poi, quando tutto è concluso, prendi il foglio e nel laboratorio, sotto l’attenta direzione di Maria, dai fiato al tuo strumento e le parole fioriscono e si diffondono, rimbalzano nell’aula e, tra tutti i partecipanti, cresce e prende corpo la polifonia.
Laboratorio di scrittura dell’Unitre di Rivoli
Direttore: Maria
Musicisti: Rosy, Ivana, Anna, Beatrice, Silvana, Rosa Maria, Luciana, Rosa, Silvy, Maria Luisa, Gina, Mara, Lucia G. Lucia Z.
Renato, rinaldo Domenico, Osvaldo, Beppe, Franco,

                                                                                     rinaldo ambrosia, marzo 2012

 

giovedì 3 agosto 2017

Grazie Pablo!!!



Il componimento di un amico  dell'ultimo anno, molto gradito a tutti i componenti del mio
"Laboratorio di scrittura"
 
GRAZIE PABLO!!

 
lasciano un solo sole vuoto in un letto.
Di tutte le verità scelsero il giorno:
non s’uccisero con fili, ma con un aroma
e non spezzarono la pace né le parole.
E’ la felicità una torre trasparente.
L’aria, il vino vanno coi due amanti,
gli regala la notte i suoi petali felici,
hanno diritto a tutti i garofani.
Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l’eternità della natura.

 

da Cento sonetti d’amore di Pablo Neruda  

 

NERUDA è il primo poeta che ho amato nella mia vita di giovane uomo.

 

Quelli della scuola elementare e media, Pascoli, Carducci, Leopardi e gli altri li avevo subiti con non poca sofferenza da insegnanti tiranni ed ortodossi.

 

Era il 1969, avevo 20 anni, e da poco avevo conosciuto una giovane di nome Cristina di 17.

 

Faceva il liceo classico, colta, intelligente e curiosa mi aveva aperto la mente alle cose belle: letture, teatro, impegno politico, musei, curiosità.

 
Lavoravo di giorno e la sera andavo all’ Università, il mio tempo libero passava fra lei, il basket, letture, qualche amico e la famiglia.

 
Il giorno di un mio compleanno arrivò all’appuntamento con un bellissimo libro, I cento sonetti di Pablo Neruda, poeta cileno.

 
Poeta del’ amore, del sociale, della politica, della società civile, della natura umana.

 
Neruda fu per me una folgorazione, lessi e rilessi quelle poesie, assetato com’ ero di emozioni e vibrazioni per la passione amorosa che stavo vivendo.

 
Da lui ispirato scrissi molti versi. 

 
A distanza di quasi 50 anni non dimentico un attimo di quei momenti. GRAZIE PABLO!!

 
Neruda sarebbe morto poco dopo, il 23 settembre 1973 quasi sicuramente ucciso ad opera di sicari del dittatore Pinochet con la collaborazione di agenti della CIA.

 
In seguito mi appassionai ad altri poeti, Pavese fra tutti, ma in modo tiepido, il MOLOCH del lavoro mi divorava, convogliando le mie energie migliori nell’ ingranaggio micidiale dell’efficienza e produttività.

 
Fino all’ altro ieri mattina quando finalmente mi sono improvvisamente svegliato padrone del bene più prezioso, IL TEMPO.

marzo 2017                                                   Cesare Tambussi

sabato 29 luglio 2017

In fondo ai miei post leggp: nessun commento...
Casualmente ho trovato cliccando (blogger) numerosi commenti che non vedo in questo contesto?
Virrei capirne di più e nel mentre:



 Preghiera
 
di Maria Mastrocola Dulbecco
    

  PREGHIERA

La mia preghiera
è fatta
di parole mute
di candele accese
di sguardi imploranti.

Le mie mani vuote
le mie labbra chiuse
la mia nullità
è tutta racchiusa
nel desiderio
di una serenità
che non mi appartiene
ma che desidero
con tutto il mio esistere.

Aspetto inerte
passiva e consapevole
che è qualcosa
di inafferrabile
così come lo è
la certezza.

                    Maria Mastrocola Dulbecco

sabato 15 luglio 2017

IL MARE



 

IL  MARE

 

Il mare, mi accarezza

le guance

mi accoglie

mi avvolge

mi solleva

mi rincuora

mi libera

mi isola

mi tiene compagnia

mi parla

mi ascolta

mi fa le sue confidenze

ascoltando le mie

 

                    Maria Mastrocola Dulbecco

 

 

 

 

 

domenica 9 luglio 2017

LA ZIA MARIA

Zia Maria
Strappiamo un altro foglietto?
Quando ero piccola e abitavo in un piccolo paese Abruzzese, San Salvo (Chieti) quasi sempre arrivava la zia Maria da Torino. A lei piaceva lavorare a maglia ma divorava i libri attaccandomi la voglia di leggere. Lei leggeva mentre sferruzzava, il libro appoggiato sulle ginocchia e le mani che intrecciava fili per fare cose meravigliose per noi nipoti e per suo figlio Paolo il mio cugino preferito con il quale giocavo e combinavo marachelle.
Con il passare degli anni e noi diventavamo più grandi, lei fantasticava con noi.
Quanti vestiti di “cadì” abbiamo sognato insieme mentre sferruzzava niki e golfini
. Descriveva i modelli che le sarebbero piaciuti e noi con lei.
Quando arrivava portava sempre un bel guardaroba e prima di tutto i suoi bellissimi cappellini che insieme ad una vestaglia costituivano la mia ammirazione.
Quella vestaglia lunga che io e Paolo indossavamo e giocando alle signore, ci specchiavamo in quel grande specchio dell’armadio di mia mamma.
Un anno portò una stoffa molto bella e mamma, con quella stoffa, le confezionò un vestito bellissimo. Era di una seta stupenda e io raccattai tutti i pezzi avanzati per farne un vestitino alla mia bambola. Lei con Paolo doveva andare al mare a Viareggio…che favola per noi che pensavamo a Viareggio come al posto più bello per una villeggiatura.
Zia Maria, zio Gaetano e Paolo sono ricordi di un arrivo speciale per Natale e per le vacanze estive…
 
La zia Maria è la signora in centro.
Foto scattata da un fotografo ambulante a Torino nel primo dopoguerra con zia Vutalina a sinistra in attesa di trasferirsi negli USA da suo marito.
A destra mia madre Filomena Lucarelli

martedì 4 luglio 2017

APPUNTI



 

APPUNTI

 

Le mie storie su San Salvo continuano ricordando tanti personaggi che ho incontrato nella mia vita da bambina e poi adolescente :

-Achille  il portalettere,  la sua umanità. le lacrime nel consegnare posta che  sapeva fonte di cattive notizie quando queste arrivavano dai soldati al fronte durante la seconda guerra mondiale.

-Gerardo che andava a prendere i miei zii alla stazione con la carrozza quando arrivavano da Torino e io ero con loro.

-Mia mamma che andava a “segnare” la dote per una valutazione nei matrimoni.

-I casolani che mi portavano il formaggio di latte misto pecora e mucca perché sapevano mi piaceva. Venivano da mia mamma  che faceva la sarta.

-A tale proposito ricordo le donne del paese che misuravano il filo e portavano alla mamma cento metri che (avevano calcolato) doveva bastare per cucire un vestito.

Da bimba ho assistito a mille diatribe sulla affermazione che quel quantitativo doveva bastare, Questo prima che sul mercato si trovassero le spolette di filo della  Cucirini Cantoni Croatis  dall’emblema dei tre cerchi concentrici.

-Mille altri avvenimenti rimasti nella mia mente e che  si svolgevano in quel piccolo paese fotografato intatto alla mia memoria che viveva nei suoi tre o quattro kilometri quadrati lontano da altri centri non facilmente raggiungibili.

-Il dialetto non  era contaminato e si distingueva dai paesi confinanti lontani almeno dieci chilometri.

 

Ho sintetizzato  ma raccontarli mi emozionano e mi fanno sentire ancora  “sansalvese”

 

                                  Maria Mastrocola Dulbecco

 

domenica 2 luglio 2017

CERIALE (Liguria)


Ore 6,30     Ceriale  Agosto  1995?

La spiaggia è ancora addormentata, deserta, il mare calmo appena si muove.

Il risveglio non è assordante come le ore che seguiranno.

Le onde lambiscono la sponda pigramente quasi a non voler  disturbare le persone che ancora dormono dietro le finestre socchiuse di fronte a questa massa stupenda di acqua azzurra.

Il furgoncino della stampa preceduto dal rumore di una saracinesca che si alza lascia il suo pacco di giornali.

Un altro furgone arriva a scaricare altri giornali forse riviste, ripartono e nel silenzio assoluto  il rombo di questi motori  sono amplificati al massimo.

Passa una famiglia di quattro persone, forse si godono una passeggiata sul bagnasciuga prima che venga invasa dai bagnanti.

Due pescatori  con le canne in mano  attraversano la passerella per guadagnare il posto migliore sull’isolotto che si trova al fondo ma qualcuno li ha già preceduti. Resteranno tutta la mattina, con le loro attrezzature migliori e le ultime esche comprate al negozio di “Caccia e pesca”  con la speranza di agguantare qualche pesce.

Due cocorite, dentro una gabbia appesa al balcone di fianco iniziano il loro chiacchiericcio, sono variopinti e per un attimo attirano la mia attenzione.

Più tardi è un andirivieni di mariti che vengono a conquistare un posto  sul pezzo di spiaggia libera piantando l’ombrellone e preparando le sdraio per le mogli o anche per loro. Ci si prepara a trascorrere una giornata al sole.

Paolo è sceso giù a portare il cane  poco  più giù nel viale dove in un apposito piccolo ritaglio lungo la ferrovia, anche loro possono fare i loro comodi.

Io vado giù a sedermi su una sdraio che gentilmente la padrona dello stabilimento di sotto mi mette in riva al mare. Passo prima a prendere un caffè e fare due parole con loro.  Ho bisogno di rilassarmi, di dimenticare le preoccupazioni che al lunedì mi attendono in città ed allora mi tuffo nell’acqua perché quello per me è un momento di  serenità, racconto al mare i miei dispiaceri e questi si attenuano a quel liquido tepore e mi infonde un po’ di speranza, mi ricarica per affrontare domani.

Mi porto un libro per avere un contegno visto che sono sola in mezzo a tanta gente che  allegra schiamazza, grida con i bambini, sorridono, si scambiano opinioni sulla giornata  e sui conoscenti assenti.

Non resto molto, non sono serena, scappo sopra tanto dal balcone posso guardare  tutti e  quel mare immenso mi ispira fiducia in quel domani che non ha pietà di me.

                                                   Maria  Mastrocola  Dulbecco   

 

venerdì 30 giugno 2017

RICORDI

A ottantadue anni i ricordi fanno parte dei miei pensieri e ripasso testi scritti in passato;
                                      12 luglio 2014
Mio scrivere giornaliero
Per me scrivere era fonte di vita. Ogni emozione veniva da me impressa sulla carta.  da quando ho avuto la facoltà di impugnare una penna.
Ho imparato a scrivere con la matita e avevo a disposizione una gomma per cancellare. Non ho amato questa gomma e credo posso contare sulle dita di una mano le volte che l’ho adoperata.
Prima di scrivere  imparavo bene cosa avessi dovuto mettere sulla carta e cercavo, riuscendoci, di non sbagliare. Quel quaderno non mi sarebbe piaciuto con delle ombre di cancellature.
Passai poi all’inchiostro e sul banco avevamo dei piccoli calamai dove la bidella passava a versarci dell’inchiostro dove noi bimbi. di prima elementare, intingevamo le penne attenti a non  spargere macchie nel circostante e in modo speciale sui quaderni. Prima di portarlo sul rigo di scrittura, con una mossa rapida appoggiavamo la penna sul bordo del calamaio e strisciandola facevamo in modo che restasse sulla penna il meno possibile di inchiostro, quello che bastava per scrivere. Ricordo i miei quaderni, puliti, ordinati senza mai fagli fare le orecchie, quello spiacevole inconveniente che si formava al bordo di esse.
Scrivere, che conquista!!! potevo raccontare  e cercherò di raccontare nelle prossime pagine…
 
 
 
 
 
 
 
 

sabato 24 giugno 2017

Vita Torinese 1954 (seconda parte)

        VITA  TORINESE 1954
 
                                        SECONDA PARTE
Ero arrivata a Torino per una vacanza e mentre mia sorella andava a lavorare io restavo con Michelina che si dava da fare a prepararci pranzetti speciali. A me piaceva molto mangiare pane e burro (venivo da un paese dove il burro non esisteva) poi quel burro era particolarmente gustoso.
Veniva conservato nella ghiacciaia.   Da Michelina come anche nelle altre case allora, non esisteva il frigo ma avevano la ghiacciaia dove riponevano il ghiaccio che compravano da un venditore di passaggio e per un po’ gli alimenti si conservavano.
Alcune mattine mi recavo dai miei zii in via Principessa Clotilde e spesso mio zio mi portava con lui in ufficio. Il suo ufficio era alla prefettura di Torino  in  piazza Castello vicino al teatro Regio, al palazzo Reale e a Palazzo Madama.  Curiosa come sempre mi impadronii di una macchina da scrivere, non l’avevo mai adoperata ma impiegai poco ad impratichirmene tanto che i colleghi di mio zio mi passavano delle pratiche da scrivere e per me era un piacere scrivere con questo aggeggio.
Mi sono fatta dare dei fogli da mio zio e cominciai a scrivere i miei racconti non più con la biro ma a macchina. Ci avevo preso gusto e così tutte le mattine andavo con lui  in Prefettura.  Mi piaceva anche perché assaporavo il piacere di uscire, con lui, alle ore undici per andare a prendere il caffè da Florio il bar frequentato dagli impiegati della zona che era a pochi passi, in via Po.
Bar elegante, molto antico e che esiste ancora.
Dopo questo rito si tornava in ufficio.
Accadde che un collega dello zio, una mattina, mi chiese se non era nelle mie intenzioni di fermarmi a lavorare a Torino. Un suo amico cercava una impiegata e secondo lui potevo presentarmi perché il lavoro da svolgere poteva essermi congeniale.
Accompagnata da mio zio ci siamo recati a questo colloquio che avvenne in casa di questo amico ed era  in via Biella via che incrociava con via Brindisi dove abitavo.
Ci accolse una bellissima signora, molto elegante e  gentile che ci ha fatto una ottima impressione,
In modo speciale a mio zio che apprezzava molto le bellezze femminili.
Lei ci spiegò che era un incarico per registrare fatture e svolgere la corrispondenza.
Al mattino dopo mi recai in questo magazzino, in via Piave, dove trovai a ricevermi una signora molto avvenente che mi diede subito qualcosa  da fare,  dovevo scrivere delle lettere ad alcuni fornitori e lei aveva preparato delle minute dove si  esprimeva in maniera molto colorita e la grammatica aveva smesso di avere la sua funzione.
Tutto l’ambiente attorno mi  confondeva, vi erano presenti un ragazzo imbronciato e una ragazza magra ma carina, molto sorridente. Il fatto era che mentre io cercavo di decifrare quelle lettere e le scrivevo a macchina, loro parlavano o meglio gridavano a voce alta parlando uno stretto veneto per me incomprensibile.
A Dio piacendo cercai di tradurre quelle frasi assurde e riuscii a compilare queste lettere secondo il volere della imbellettata signora.
 Terminato le quali glie li lessi ed ottenni l’approvazione della signora. Avevo mitigato le frasi più crude ma venne approvato il tutto, scritto gli indirizzi sulle buste, Pietro il ragazzo che poi era il figlio partì per spedirle al vicino ufficio postale.
Anche la ragazza era sua figlia, poco dopo arrivò il marito che tutti chiamavano il Cavaliere ed era una persona molto curata che parlava un ottimo italiano . E’ arrivato con una macchina di un certo livello ma io non conoscevo le auto e non sapevo distinguere le marche ma mi avvidi che era di pregio.
Nell’insieme, in quella confusione non mi trovai smarrita e non mi spaventai,  anche perché la cosa mi faceva comodo così non si sarebbero avveduti della mia poca preparazione.
Capivo che il  tenore dei loro discorsi a voce alta  erano  di litigi ma non erano fatti miei.
Tornai il mattino dopo e poi ancora.
Alla richiesta di mio zio se mi fossi trovata bene lo riassicurai e ho continuato ad andare.
Tra una, loro lite ed un’altra cominciai a capire anche il veneto e a rendermi conto che la signora stava allestendo un negozio in una zona importante di Torino e presto sarebbe andata via da questo magazzino all’ingrosso dove subentrava il figlio maggiore che era il marito della signora bella ed elegante che avevo conosciuta con mio zio in via Biella.
A tutta quella confusione subentrarono il figlio maggiore e sua moglie.
Tutto diventò diverso. Io e la signora Ada  andavamo molto d’accordo, il marito andava a vendere i gli articolo  di ceramiche ai fioristi e altri negozi e tornava nel pomeriggio portando gli ordini delle quali preparavo le fatture e lui con l’aiuto di un ragazzo preparava gli oggetti da consegnare a il giorno dopo.
Io e Ade, visto la giovane età mia e sua, lei aveva quattro anni più di me , avevamo molto appetito ed eravamo ottime clienti di una panetteria a fianco e oltre alla pizza facevamo grossi panini ripieni di mortadella e li mangiavamo con gusto e risate.
Ridevamo molto al passaggio di un “barbone” che passava sulla strada tirando un carrettino dove aveva il suo guardaroba e tutto il suo avere (credo disdegnasse un alloggio) e guardandolo passare dicevamo, chissà se anche noi faremo la stessa fine …
 Le discussioni si ripetevano ogni qualvolta la signora padrona precedente (suocera della Adelina) veniva a prendere oggetti per il suo nuovo negozio e non si capiva se andavano fatturati ma certamente non li pagava e non aveva nessuna importanza se non venivano detratti dalla merce  in deposito magazzino.
Tanto non si capiva niente, il tempo trascorreva e in qualche modo si pagavano le tratte che arrivavano con gli incassi della giornata.
Raccontare questo andazzo sarebbe lungo e complicato ma io cominciai a preoccuparmi per i pagamenti di fine mese tanto da patirne come se fossero stati impegni miei.
Il cavaliere si dava da fare per escogitare nuove entrate da devolvere alla moglie che si adirava con lui rivolgendogli invettive quando non era soddisfatta.
Tutte questa notizie ci giungevano tramite telefono linea molto attiva in quel magazzino.
A queste sfuriate seguivano mattinate di calma e  chiacchiere liete con la Adelina che aveva un bambino di due anni che era guardato, a casa, da una beby-sitter.
Il Cavaliere si trovò a comprare una fabbrica di ceramiche ad Albisola mare,  patria di famose ceramiche.
Rilevò un patrimonio interessantissimo e naturalmente tutti i pezzi più importanti finirono nel negozio di Via Milano che rendeva molto e lo gestiva da sola la signora Nana (chiamata così dal marito  per un diminutivo di Giovanna)
Una frase che mi è rimasta in mente era quella che il cavaliere rivolgeva a sua moglie quando voleva calmarla: “Nana sta brava”
Non credo che queste persone si fossero rese conto di cosa avevano trovato ad Albisola. Il precedente proprietari ospitava artisti  molto in voga nel periodo e che in questa fabbrica andavano per sperimentare le loro opere d’arte. Tra questi vi era il famoso Lucio Fontana. (Per intenderci quello famosissimo delle tele con i tagli) che provavano le loro opere e lasciavano molti pezzi prova.
Il Cavaliere con i suoi figli adoperavano questa fortuna per farne regali a persone importanti o che prestavano loro del soldi.
Ho visto passare piatti di Fontana ed altri regalati con una facilità estrema. Oggi valgono una fortuna ma anche allora erano già apprezzatissimi.
Questa famosa fabbrica di ceramiche, il Cavaliere decise di trasportarla a Torino a allo scopo affittò un grande magazzino a Settimo torinese (diciamo periferia di Torino).
In men che non si dica, tutta questa attrezzatura vasche torni e soprattutto forni vennero trasportati e istallati a Torino.
Fu così che mi ritrovai ad essere l’impiegata unica di questo enorme complesso.
Quanta meraviglia nel vedere questi forni e assistere alle creazioni di oggetti con questo materiale che a me sembrava fango e per magia si trasformava in splendidi oggetti.
Il cavaliere e sua moglie si recarono nel veneto e tornarono con un gruppo di persone provetti ceramisti ai quali assicurarono uno stipendio adeguato e fornito loro alloggi abitazioni.
Questi operai comprendevano un esperto modellatore di oggetti artistici. Esperti di miscele per materiale occorrente a realizzare statue e vasi artistici tanto che la ditta fu intitolata. Ceramiche Artistiche.
In quel lungo magazzino avevano trovato posto i tre forni e all’ingresso vi era una stanza occupata da una scrivania per me e di fronte un’altra dove spesso si fermava il cavaliere.
La fabbrica iniziava con lo spazio dedicato all’artista che  inventava le opere, poi di seguito vi trovavano posto due tornitori che facendo girare il tornio ed  eseguivano vasi, portaombrelli e altri oggetti che quelle sapienti mani sapevano creare adoperando quella argilla. le mani i piedi che azionavano quel tornio dove spuntavano come in un miracolo  oggetti stupendi che venivano poi cotti al forno e al mattino da quelle bocche  spente dal fuoco uscivano oggetti divenute bianche.
Una serie di ragazzine erano poi intente a dipingere questi oggetti che venivano poi nuovamente cotte in quei forni e le pitture rimanevano impressi in quelle ceramiche.
Alcuni oggetti erano finiti con questo procedimento ma altri venivano impreziositi con rifiniture in oro zecchino e poi rimessi in forno per la definitiva cottura .
Gli oggetti scelti venivano inseriti in un catalogo numerato fino a creare un campionario di almeno cento oggetti che venivano fotografati formando un catalogo da presentare, per la vendita, a negozi di casalinghi e fiorai.
Continuerò a raccontare premettendo numerose evoluzioni e accadimenti in questa fabbrica dove ho imparato a districarmi in tutte le incombenze amministrative.
                                
                                                               Maria Mastrocola Dulbecco