venerdì 27 marzo 2015

MARZO 2015

  Una poesia della nostra amica Silvy  Anelli


Scrivere

Non è senza dolore

che si attraversa la vita,

non è senza dolore

che la si può raccontare.

I ricordi riaffiorano

come sculture

scavate nel marmo.

Le parole danno loro forma,

scavate nel dolore dell’anima.

E non vi è pace se non quando,

a volte il vento

fa volare le pagine scritte,

per presentarne di nuove,

ancora intatte.

        Silvy Anelli
 
 

   

venerdì 20 marzo 2015

VITA TORINESE 1954


                                                     VITA  TORINESE 1954

 

Via Brindisi 3, é questo il numero civico  dove sono approdata al mio Arrivo a Torino.

Era il 10 ottobre di non ricordo bene in quale anno, forse il 1954, in gennaio, al festival di Sanremo  emergeva “Tutte le mamme”.

Era una giornata di sole e dal finestrino del treno assaporavo quel sole che mi rendeva gioiosa, tornavo a Torino per la seconda volta e questa volta per fermarmi in questa città e restarvi anche se il viaggio, fatto con mia sorella che vi lavorava, doveva solo  essere turistico. Indossavo un tailleur principe di Galles che mi dava un aspetto elegante aiuta dalla mia siluet di ragazzina che pesava 45 chili.

Quanta curiosità si accendeva nella mia mente entrando in quel cortile, nuovo per me, e attraversando lo spiazzo  ciotolato, mi sono arrampicata sulla scala che si trovava in fondo di fronte al portone d’ingresso. Ad accoglierci  c’era Michelina, la signora che ospitava mia sorella come compagnia e pensionante. Mi accolse con un sorriso e con un desinare molto ben fatto come si accolgono ospiti nuovi.

Quasi tutto il cortile si è animato dal secondo piano è salita la signora  Caldera, una signora  piuttosto in carne e un tantino strascicante ma con un viso intelligente da persona colta. Con Michelina parlava il dialetto che mi era incomprensibile e poi con un buon italiano mi rivolse parole di benvenuto  e di calorosa accoglienza parlandomi della sua (cita) figliola che sarebbe tornata dal lavoro e sarebbe venuta a salutarmi non senza avermi informata che la sua “cita” era sposata con un ingegnere che lavorava alla fiat e che lei lavorava presso la casa editrice Paravia dove occupava una posizione di rilievo .

Ho poi conosciuto Armida e Serafino che occupavano l’alloggio piccolo a destra, salendo la scala, della signora Caldera (secondo piano). Con il loro bambino Silvano che frequentava la quinta elementare. Vispo e allegro è salito da noi, Michelina era sua zia:

Tutta questa atmosfera di cortile cittadino mi è piaciuta molto e quasi mi sono sentita a casa.

Ho imparato che il gabinetto era fuori dal balcone e che anche la signore Neta che abitava nello stesso piano nell’alloggetto piccolo di fianco ne doveva usufruire.

Appesi ad un chiodo,  piantato dietro, vederlo  sulla porta dopo averla chiusa con un ferretto che si infilava sul muro, vi erano tanti pezzi di giornale  ricavati da “La stampa” giornale che si comprava ogni giorno e io e Michelina ci aggiornavamo  sugli avvenimenti del momento e allora, come oggi, le notizie che ci interessavano di più erano le indagini sui delitti da risolvere. Credo che in quel periodo  imperava il caso “Fenaroli”  o “Montesi”.

La “sislunga”  attirò subito la mia attenzione e ne occupai immediatamente una parte verso l’uscita mente Michelina  ne occupava l’altra parte.

In Ottobre il tempo era clemente e alla sera avevamo ancora la porta, sul balcone,  aperta e immancabilmente a mezzanotte arrivava su la signora Caldera che si attardava a raccontare le sue storie.  Mi raccontava che lei non curava molto il suo abbigliamento e che un giorno si è presentato un signore che cercava suo genero (l’ingegnere) e lei sentendosi inadeguata si presentò dicendo: “Il Sig/ Cagliostro non è in casa, il suo appartamento di sotto è chiuso e io sono la fantesca”

In effetti Cagliosto Lino e Teresa avevano un alloggio più grande al piano terra ma preferivano stare sopra dai genitori.

 Madama Caldera amava il bel canto, canticchiava pezzi di opere raccontandone la storia e tutte le sere Michelina faticava molto a farla andare via. La spingeva verso le scale ma lei tornava su  a parlare con le “cite” io e mia sorella.

Conobbi man mano le amiche di mia sorella e gli abitanti degli altri piani. A piano terra c’erano Francesca e Vittorio, due persone amabili, senza figli e all’ultimo piano, nella soffitta abitava  la signora emilia, una anziana zitella che , con il passare dei giorni e l’inverno che arrivava , ci invitava da lei noi  e parecchie ragazze ci recavamo da lei sedendoci in una vecchia  “sislunga”  vicino ad una piccola stufa a legna dove immancabilmente bolliva dell’acqua con la quale lei preparava un delizioso “capiller”con limone e zucchero e ce lo offriva in deliziose tazzine  e con tutta la sua gentilezza. Non era solo la stufa e il “capiller” che ci attirava ma era anche la sua virtù nel leggerci le carte.

Per me era la prima volta che assistevo a questo avvenimento in cui lei credeva veramente e le signorine presenti  facevano domande sui loro fidanzati. Lucia chiedeva se  il suo fidanzamento con Fiorenzo sarebbe durato. Germana si informava su Silvano il ferroviere, mia sorella su Ezio l’ingegnere della Mondial Pistoni che  aveva ricominciato a frequentarci dopo averci incontrate un giorno in Via Cernaia e nell’occasione ci invitò (tutti i partecipanti alla passeggiata) a prendere qualcosa in un bar. Considerato da tutti un avvenimento conoscendo la proverbiale avarizia dell’ingegnere.

 La signora della soffitta  era molto raffinata e non era  la misera soffitta a non far capire un passato diverso, I pochi oggetti e la sua raffinatezza raccontava di un passato  nobile e il suo viso era illuminato di  ricordi  d’altri tempi.

Peccato che la distinta signorina morì pochi anni dopo e io non ho fatto in tempo a sapere di più su di  lei.

I balconi di fronte appartenevano agli alloggi che davano sulla strada e vi abitavano poche persone tra loro una famiglia con tanti figli.

Al primo piano  un ufficio poi a destra l’alloggio di Lino e Teresa che si adoperò una sera del primo inverno per una fantastica “bagna cauda” , al piano secondo c’era una famiglia di due persone che non ho visto mai e al terzo piano, la famiglia Ciardo, appunto con più figli,  titolari di  un laboratorio di cromatura situato nel cortile  che occupava il marito e i figli più grandi.

Dei ragazzi Ciardo , il più grande faceva il filo a mia sorella e ogni tanto saliva su da noi per stare in compagnia e venivano anche le altre ragazze del cortile.

Carlo era un bel ragazzone dagli occhi chiari e possedeva un mezzo viaggiante (serviva per il loro lavoro) e a volte ci portava a fare un giro per Torino facendomi vedere il corso  molto lungo di Corso Francia. Corso Orbassano che portava e porta a Santa Rita e poi fuori città, Corso Vittorio e in fondo il Valentino. In quelle sere e nell’estate  a venire c’era una stupenda fontana  colorata e danzante al ritmo di una bella musica che si  diffondeva  tra i giardini del valentino da poco rimessi in ordine. Poi questa fontana ha smesso di funzionare  e non so perché.

Carlo non era gradito a Michelina poiché era risaputo che lui aveva una fidanzata ufficiale e secondo lei non doveva frequentare le ragazze del  quartiere.

Io non trovavo disdicevole che Carlo frequentasse la compagnia che era abituato a frequentare da sempre ma forse Michelina non aveva tutti i torti.

Ma torniamo agli abitanti del cortile.

Silvano veniva sempre sopra, con i suoi nove anni e la sua vivacità mi divertiva e poi io , che al mio paese mi ero sempre occupata ei i bimbi del quartiere seguendoli nei compiti trovavo giusto seguire quel bambino molto intelligente ma qualche volta, per seguire i giochi in oratorio don Bosco ( eravamo vicini alla ciesa di Maria Ausiliatrice )  e per  un po’ di pigrizia, arrivava alla sera senza aver fatto il compito per l’indomani  così che con la mamma, saliva al terzo piano da noi, dopo cena, e la mamma, in piemontese mi diceva; “Maria, il cit a l’ha sogn e deve ancora fare il tema. Per favore lo fai tu e lui domattina si alza presto e lo copia!”  Conoscendo il pensiero del bimbo e la sua intelligenza, potevo scrivere il tema senza pensare che a scuola potessero accorgersi di essere stato aiutato. Fu così che vincemmo i vari premi  sui concorsi assegnati: Il libretto della cassa di Risparmio, il premio della centrale del latte e altri ancora allora indetti nelle scuole. Però Silvano vinceva anche i premi dei temi fatti a scuola.

Per questi aiuti  Armida, mamma di Silvano, mi ha regalato un taglio di stoffa azzurra con il quale mia sorella  che lavorava in un importante Atelier di Torino, la “Sanlorenzo”. mi confezionò un bel vestito che io ho impreziosito con un  ricamo in bianco.

Era ancora il periodo che  apprezzavo un bel vestito o qualcosa  di nuovo. A tal proposito ricordo la prima neve di Natale e io già avevo trovato un lavoro. Comprai un paio di stivaletti bianchi, corti alla caviglia che si chiudevano con una cerniera laterale a aveva  le suole di  para. Che felicità!  Volavo con quegli scarponcini comprati per la prima volta con soldi guadagnati da me.

                                                                                                 Maria Mastrocola Dulbecco
                                                Interno Conservatorio di Torino

martedì 3 marzo 2015

R E C E N S I O N E


Maria Mastrocola Dulbecco [maria34]


pagina in costruzione
 

La poesia di Maria Mastrocola ha una collocazione ben definita:
è l'anello mancante tra due scuole di pensiero,lo stile classico,cadenzato,lirico,che si lega indissolubilmente ad uno stile moderno,sperimentale,neo futuristico.
E' quindi inevitabile che dalla sua penna fuoriesca una poesia dinamica ma al contempo ricchissima di impostazioni del classicismo, che danno della opera intera una dimensione universale.
Maria in questa è una maestra,nella vita,nei suoi corsi di Unitre,nelle sue poetiche goccioline di sapienza che ci danno il suono e la ritmica di un fiume in piena.
[Scrive.....chi annera pagine bianche con la storia della vita altrui filtrata dalla propria esperienza.......].
La purezza del suo verso è cristallina ed inebria ,mentre le sue visioni diventano le nostre visioni,ma la sua è una poesia universale dove alla ricerca sillabica del settenario,si interpone una realistica esigenza di poesia moderna.
La sua è una poesia descrittiva -spirituale-onirica-tangibile.
[Gioco di luci
in acque limpide
e verdognole.
Ruscelli fluttuanti
che accarezzano
fondi melmosi
pietre pulite].
tra i temi portanti della sua opera non si puo' non parlare d'amore,agli osservatori ed ai lettori appare chiaro una cosa,non c'è poesia di Maria senza il sentimento che traina la vita.
L'amore diviene una definizione universale e una esigenza dello spirito,l'autrice insegna fondamentalmente questo: amare ed essere amati,l'amore che lei stessa descrive come antropologico,sociologico,psicologico,fisiologico e poetico.
Percui non è accettabile intenderlo con aggettivi subdoli o poco chiari.
Dice di lei :- .... Mi occupo del corso di "Laboratorio di Scrittura" dell'Unitrè di Rivoli" dove ci si incontra per leggere e commentare i propri scritti che a fine anno comporranno un nostro giornalino.....-],quindi
Maria è per gli altri,catalizza i gruppi di poesia,da sicurezza nella trasposizione poetica, è per noi tutti un riferimento.

Michela Zanarella