sabato 26 gennaio 2013

Libro di Mara

Avevo scritto una presentazione di un libro scritto da Mara ma non sono riuscita a postare la foto.
Per ora vi faccio leggere un suo brano:

Una persona strana che vi è capitato d’incontrare nella vita


Gli amici, le persone che incontriamo e che non conosciamo, appaiono strane ai nostri occhi, ma poi se abbiamo la fortuna di conoscerle e di frequentarle, impariamo a capirle, e forse ad apprezzarle, e molto spesso c’insegnano che la stranezza non è  un difetto ma un pregio, perché ti rende diverso, dal branco, vuol dire che tu hai saputo mantenere la tua integrità, la tua originalità, e se questa diversità ti rende differente, puoi solo gioirne.
Ho fatto fatica a trovare tra le persone che ho conosciuto qualcuno o qualcuna strana, perché ai miei occhi nessuno è strano, ho sempre rispettato e accettato le persone per quello che sono, per ciò pensano e fanno.
Ma posso raccontare questa piccola storia: molti anni fa andai con mio marito e i miei suoceri a visitare i luoghi dell’infanzia, nel mantovano.
Ero giovane allora e tutto mi sembrava curioso, mi piaceva conoscere posti nuovi e nuove persone, la prima tappa ci portò all’interno di una grande cascina, all’interno c’erano tante mucche, forse più di cento, erano lontani cugini di mia suocera, vollero a tutti i costi, farci fermare a mangiare con loro, e con poco improvvisarono una cena semplice ma gustosa, coronata alla fine da una magnifico budino che mio  marito ancora adesso se lo ricorda e ne parla. Accanto a loro c’era una casupola e all’interno abitava una vecchietta, sentii che mia suocera ne parlava con la cugina.
Andammo a trovarla, quando la vidi, rimasi colpita dalla sua stranezza, quella donna sembrava uscita da un libro dell’ottocento,  i suoi abiti scuri, lunghi fino a terra, il tessuto che s’incrociava davanti e il grembiale che le copriva la gonna, scuro anche lui  lungo, ne facevano una figura antica, i capelli bianchi come la neve tenuti a crocchia dietro il capo, era un’immagine d’altri tempi, ma quello che mi colpì al cuore, da star male era la sua espressione, il suo corpo, piccola e piegata in due, dagli anni, dal lavoro, dai dispiaceri, mi spiace dirlo ma per me lei era l’immagine della morte, non un’immagine brutta,  ma cruda, come se in quel momento avessi visto la dolce signora venirmi incontro.
Seppi da mia suocera che quella donna  da giovane era stata di una straordinaria bellezza, e tutti la ricordano per questo ma ebbe la sfortuna d’innamorarsi di un giovane che morì in guerra. Il suo cuore rimase con lui e lei si ritirò a vivere in quella casa ormai decadente che era di sua madre, il tempo chissà per quale curiosa ragione s’era dimenticato di lei, e adesso che tutti le erano morti intorno era rimasta sola.
Quest’immagine ancora oggi mi accompagna, era l’immagine della serenità, della rassegnazione, dell’attesa pacata, lei viveva ancora com’era abituata e non gliene importava, per lei il tempo s’era fermato come se non volesse lasciarla andare. 

Mara Massaro

venerdì 25 gennaio 2013

Viaggio

Viaggiare per provare il piacere di tornare a casa
         In quel tempo… così iniziano le letture dei vangeli, ma anche per me e la mia famiglia, possiamo iniziare così. Erano gli anni in cui in primavera si incominciavano a fare i progetti per le prossime vacanze. Devo dire che non era ed è una prerogativa solo della mio nucleo famigliare ma l’iniziativa si poneva in tante e tante famiglie. Cosa fare? viaggiare in cerca di emozioni nuove o andare nel solito luogo di vacanze?  Ora mi accontento di andare al mare ed in montagna nei soliti posti.
         Per diversi anni si partiva in auto alla ricerca di nuove mete, si programmava un viaggio in paesi europei, mi davo da fare per cercare cartine stradali dettagliate della meta da raggiungere, depliant e guide turistiche che descrivessero la bellezze e perché no, la gastronomia della zona. Man mano che si avvicinava la data della partenza, aumentava il desiderio di partire, di viaggiare all’avventura. Non si prenotavano alberghi ma ci si fermava nei posti in cui ci si desiderava fermare. Facevo un piano di viaggio per non dimenticare nulla di quel che c’era da vedere e da ammirare ma, nel contempo, si allungava o restringeva la sosta a seconda se il luogo era interessante o meno.
         Di solito la durata del viaggio si programmava di due o tre settimane, condizionato anche dalla distanza da Torino, dalle condizioni meteo e, principalmente, dalle lire che si avevano ancora in tasca. Dopo alcuni giorni di peregrinare da una città all’altra, da un museo ad un bel panorama, all’arrivo all’albergo che ci avrebbe ospitato per la notte, iniziavamo a sentire la nostalgia della nostra casa. Questo era più sentito da mia moglie che da me e da mia figlia, un certo desiderio iniziava a farsi strada nella mente e nel cuore ma volevamo continuare a vedere e gustare cose nuove.
         Il viaggio in cui ho sentito anch’io la nostalgia della mia casa, dolce casa, e stato quello intrapreso negli Stati Uniti. Diciassette giorni di spostamenti da uno stato all’altro da una costa all’altra del continente americano, dalla Florida alla California, da Miami a San Francisco passando  per il Gran Canyon, i grandi parchi e la Monument Valley per poi arrivare a Las Vegas e sull’Oceano Pacifico a San Francisco. Quindi trasvolare tutti gli States per raggiungere nuovamente Nuova York e finalmente ritornare in Italia. Il viaggio doveva essere prenotato con alcuni mesi di anticipo e la moglie non era molto entusiasta della cosa, chissà cosa poteva succedere nel frattempo, ma io ero deciso a partecipare e così prenotai. Unica cosa che ci rattristava era la mancanza della figlia che non poteva prendere le ferie in quanto da poco assunta al lavoro.






         Il viaggio si è rivelato entusiasmante ma molto stancante. Quasi ogni giorno si cambiava hotel, anche se alcuni chiamarli hotel era riduttivo. La sera che arrivammo a Phoenix in Arizona dopo essere partiti da Orlando in Florida, ci sistemarono in un hotel enorme. Per orientarci a trovare la camera ci diedero addirittura la planimetria dell’hotel. Questo era costituito da 5 complessi ognuno con 1000 camere situate in casette a due piani  costituenti un nucleo a sé stante. Per raggiungere il fabbricato principale con la hall d’ingresso, si prendeva una macchina elettrica talmente le distanze erano dilatate. Vista l’ora d’arrivo, telefonammo a Torino alla figlia che si stava preparando per andare a lavorare mentre noi ci accingevamo ad andare a dormire. Quella sera, al sentire la voce della figlia, iniziammo a sentire la nostalgia di casa, cosa che ogni giorno aumentava malgrado fossimo appena a metà viaggio. Finalmente quando ci imbarcammo per ritornare in Italia, stanchi e provati dal cambiamento di vari fusi orari, la nostalgia di casa nostra si faceva sentire ancora di più. Ma, tanto per prolungare ancora un poco il viaggio, uno sciopero improvviso decretato dai sindacati aeroportuali mentre eravamo in volo sull’atlantico, ci costrinse ad una deviazione di rotta e far scalo a Parigi. Dovemmo scendere tutti, circa 400 passeggeri dal  Boeing 747  e ammassarci in un grande terminal in attesa di ripartire per l’aeroporto di Milano Malpensa al termine dello sciopero. Mai arrivo fu tanto sospirato, dal bus che ci riportava a casa, il cartello stradale con la scritta “Torino” posto all’inizio della città fu il benvenuto, ci sembrava bello anche quello che di solito della città non notavamo. Rientrare, essere accolti dall’affetto e dal sorriso della figlia, il rivedere le nostre cose e risentire il calore della nostra casa dopo aver passato tante notti in anonime camere d’albergo, quello è stato il momento più bello. Casa, dolce casa, per piccina che tu sia….
         P.S. dopo pochi giorni la mia sete di viaggiare mi avrebbe già fatto ripartire per altre mete.  
                                                                           Giuseppe Vasco
Dicembre 2012                                                                                                                                    
        



mercoledì 23 gennaio 2013

SCUSE

Amici carissimi, scusatemi se sembro assente, figuratevi che neppure  la rete di io bloggo mi riconosceva e non riuscivo ad entrare nel mio post. Con fatica mi sono fatta riconoscere ed ora eccomi.
  Vi chiedo scusa poichè sono impegnatissima a terminare il mio giornalino per l'unitre che di solito esce a fine gennaio.
Se ci riesco e avete pazienza di sfogliarlo, lo pubblicherò anche in questo blog altrimenti vi avvisoi e lo treoverete sul sito UNITRE  RIVOLI sotto la digitura "giornalino".
 Ed ora eccomi a pregarvi di  fari sentire nei commenti perchè io vi leggo sempre e appena termonata questa fatica, PROMETTO vi contatterò  con più frequenza.
Ora vim dedico un mio scritto forsen già postato su CONSIGLI PER LA SCRITTURA:
            SULLA SCITTURA
 
E’ facile per chi scrive, riscrivere il già detto:
     E’ il modo in cui si porge quello che si vuol dire che ogni volta è diverso, perché diverso è il pensiero di ogni persona.
      Diverso è lo stato di essere di ogni individuo, diverso è il percorso della vita.
      Le vicissitudini plasmano i caratteri e diversificano le situazioni.
      Persino un panorama mozzafiato può infondere emozioni diverse o non suscitarne affatto.
      Un’opera d’arte anelata per tutta la vita, può lasciarci indifferenti se la vediamo in un momento difficile della nostra vita, in un momento in cui in noi albergano dispiaceri e delusioni.
 
                      Maria Mastrocola Dulbecco
e chiudo con una poesia dedicata ai poeti:
IL POETA

Il poeta si ama
il poeta si ascolta.
Assorbono i suoi pensieri
le rime e le assonanze
scaturite da sensazioni
irripetibili
ed in loro il suo spirito
si appaga.
Si avvolge in esse
li recita a se stesso
ne gode in prima persona
come un innamorato
della persona amata.
Agli altri porge
pago di un’attenzione
che non chiede
ma avverte se
esiste.
               <
撔ţ>Maria Dulbecco

sabato 19 gennaio 2013

                         INGEGNO
    Mia nonna amava raccontarmi ciò che lei aveva appreso  nella sua vita per insegnarmi ad affrontarla e imparare come superare le difficoltà.
   Soleva raccontarmi che nella notte dei tempi vivevano (in una società tutta agricola e boscaiola) uomini molto alti, dediti al lavoro dei campi e alla cura dei boschi.
   Arrivarono da paesi lontani  una nuova razza di individui molto bassi e non erano capaci di svolgere il lavoro del  territorio. Forse volevano anche imparare ma, gli uomini alti, non li hanno accolti molto bene , gelosi del loro sapere   li lasciarono in disparte  e davano loro da mangiare qualcosa  in misura minima e mal volentieri.  Quando si recavano al lavoro,  i bassi, rubavano i pani destinati  alla mensa degli alti.
   Questo creò molto malcontento così gli alti si riunirono e decisero di legare i pani ai rami più alti degli alberi in modo che  i bassi non ci arrivavano e loro potevano trovare intatti i loro pani al ritorno dal lavoro.
   Soddisfatti del loro ingegno, tornavano alla sera e potevano sfamarsi con i  pani messi al sicuro.
   I bassi cominciarono a patire la fame e fu giocoforza inventarsi il modo di sopravvivere. Avevano a disposizione solo rami secchi, bassa vegetazione e ruscelli di acqua.
   Ingegnandosi a loro volta, i bassi, riuscirono a costruirsi una fionda e con le foglie più larghe della vegetazione  formavano dei sacchetti che riempivano di acqua e con l’aiuto delle fionde la spruzzavano  verso i pani , li ammorbidivano  fino  a farli sbriciolare e cadere a terra così da potersi sfamare.
   Gli alti cominciarono a non trovare più i loro pani e capirono che questi bassi, in quanto a ingegno, non erano da mano.
Convennero  che avrebbero dovuto  scendere a patti con loro e accordarsi sul cibo e sul lavoro. Le due razze trovarono un’intesa e si mescolarono lavorando insieme.
   Da allora convissero insieme alti e bassi dando origine all’uomo attuale di statura un pò meno alta e un pò meno bassa.
   Convivono ora alti e bassi fornendo ognuno il proprio ingegno per il comune progresso e benessere. 
                                                  Maria Mastrocola Dulbecco



sabato 12 gennaio 2013

COME UNA STORIA DI ALTRI TEMPI

Mio padre, per motivi di salute, ha vissuto parecchi anni al mare, prima ad Albenga poi definitivamente a Ceriale.
Essendo un uomo attivo sia di cervello che di mani e conoscendo bene la musica, acquistò un organo elettronico e dilettava con splendiede esecuzioni amici  e vicini di casa. Tra l'altro conservo il violino che ha tanto suonato nella sua gioventù. Soleva anche recarsi spesso per sentire la musica al Caffè Roma, il famoso muretto di Alassio, dove tutti gli anni si eleggeva la miss. Lui entrava con la sua cagolina, Baby, e cheto cheto si sedeva ad un tavolino vicino all'ingresso, per non disturbare il crocchio di madame, vestite in abito da sera, che facevano cerchio intorno al pianista e che sorpresa!!! quando una signora incominciò a cantare, mio padre con grande stupore riconobbe essere la famosa Carla Boni.
Al settimo cielo dalla gioia non passò più giorno che non vi si recasse, sempre cheto cheto al solito tavolino, ma non passò molto tempo che una signora notandolo sempre solo e devo dire molto distinto ed elegante, lo invitò a far parte della loro compagnia che da sempre era formata rigorosamente da solo donne. E così ebbe il piacere di sedere al tavolino, oltre che con Carla Boni anche con la Mariuccia moglie di Macario e parecchie volte con la Vanda Osiris che si presentava naturalmente con il suo turbante ed il suo cagnolino che se ne stava nascosto per delle ore sotto la sedia tra le sue vesti che erano lunghe fino ai piedi.
Aveva talmente legato con tutte queste persone che il suo ingresso veniva salutato da una suonata particolare del pianista che aggiungeva: "ed ecco il nostro caro signor Luigi".
Tra l'altro questo pianista, di cui non ricordo il nome, era un personaggio molto famoso e alla sua morte venne scritto persino un articolo sulla Stampa di Torino. Certo fu una parentesi della vita di mio padre molto gratificante, lui che aveva sempre dovuto lottare, essendo un uomo come si suol dire d'altri tempi, con l'indifferenza e la brutalità della gente.  Andavo quando potevo anch'io con lui e quando si facevano delle grandi feste eravamo noi ad aprire le danze tra gli applausi generali, mio padre era un gran ballerino e chissà forse avremmo dovuto vivere tutti e due nell'800.

                                                                                  Rosy Sandri







giovedì 10 gennaio 2013

L'ORCHESTRA DELLA VITA

L'orchestra della vita
 
Orchestrare il mondo
nel tripudio del canto,
sulla scia del momento
ed attendere
la pausa con ardore.
All'ultimo atto
sarà libertà, miracolo.
Tutto è scritto sulla partitura
raccolta davanti a noi,
con il destino
mutati i sogni,
nella gioia il prodigio
ci attende.
 
               Adriana Mondo.
Vi propongo una poesia di Adriana Mondo, una poetessa che si é aggiunta quest'anno al nostro "Laboratorio di scrittura" e che ha già pubblicato diversi volumi.
 Grazie a chi passa e si ferma a leggere,
Domani venerdì ho una lezione e sarà un bel ritrovarsi.
Io ho creato un collegamento tra l'unitre di Rivoli e la rete.
A voi parlo di loro  e aloro parlo di voi.
Un caro abbraccio a tutti  Maria
 

sabato 5 gennaio 2013

LETTERA A UNA SCONOSCIUTA

Lettera a una sconosciuta

Questo biglietto è stato scritto a mia figlia mentre  tornava in treno dal mio paese, da un ragazzo sconosciuto che la guardava dormire.  Non si sono neppure conosciuti  ma il biglietto mi è molto piaciuto e io, la mamma, l’ho conservato perché  mi è piaciuto la delicatezza  in essa contenuta.
Dopo 27 anni posso inserirla tra gli scritti dei miei allievi omettendo località:


                                                                                                          4 settembre 1986
                                                                                                          ore 5 di mattina

Sorellina,
spero che tu non ti offenda e non me ne voglia se mi permetto di scriverti queste righe anche se sono uno sconosciuto. Non sono troppo timido, non tanto in ogni caso da non poterti dire a voce queste poche cose, ma stai dormendo e non voglio disturbarti, non voglio che tu mi prenda per il solito cretino che cerca d'attaccar bottone in viaggio (spero di non esserlo).
Non mi piace nemmeno quest'idea del biglietto, ma qualcosa devo fare, in qualche modo devo comunicare con te, lo sento da quando sono entrato in questo scompartimento e non posso farne a meno. Qualcosa che non so ancora ben definire mi attira in te irresistibilmente.
 Saranno i tuoi occhi che si aprivano appena nella penombra morbida e stanca del treno e le simpatiche e ammaccate forme che prende il tuo corpo rotolandosi per farti riposare un po', il modo grazioso in cui ti sei allungata per unirti le caviglie dal fresco (settembre) questi pantaloni bianchi che certo più lunghi di quanto sono non possono diventare... O sarà questa tua mano che ora, che stai distesa e rivolta verso il sedile, emerge sottile e rosata dalla massa dei tuoi capelli... O sarà semplicemente il pensiero che dormi tranquilla, abituata forse agli sguardi della gente che ammira la tua bellezza, ma ignara certo del tizio stanco e stravolto che dovrebbe dormire anche lui e invece ti scarabocchia tra i sobbalzi del treno una lettera senza senso.
 A meno che il senso non sia questa tristezza nel sapere che tra poco arriverà la mia stazione e scenderò, prenderò un altro treno, mi disperderò tra le colline bagnate di rugiada e di ricordi, mentre tu proseguirai verso chissà dove, senza ch'io sappia almeno il tuo nome.
Forse il senso è questo leggero sgomento nel vedere che la vita cammina e passa e un qualsiasi incontro sfuma, si perde nel mare di piccole luci che si vedono ora dal finestrino, le luci umane fuori dalle vie, che non sono stelle, ma invitano a seguire la strada.
 Forse quello che volevo dirti è che questa notte avrebbe potuto essere buia e invece c'è stata la tua piccola involontaria luce a rischiararne il cielo, una piccola tenerissima luce alla quale non so dare un nome, ma che ringrazio di cuore come di cuore ringrazio il cielo stellato anche se fatto di stelle cui non so dare un nome.
 Vedi, i primi giorni di settembre sono per me (per ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare qui) un periodo magico e pieno di segni. Non so se anche tu sei uno di essi o se è solo la mia fantasia maldestra, la mia stanchezza e il silenzio della notte a provocare lo strano effetto che mi fai. Comunque se ti scrivo è perché mi sembra di dover reagire d'istinto come sento.
 Ho uno zio che da quando mi ricordo ripete che vincerà la lotteria uno di questi giorni e sostiene che è necessario soltanto lasciare aperta una finestrella alla fortuna. Per questo compra ogni anno un solo biglietto d'una qualche lotteria. “Se la Fortuna vuole -dice- entra lì”.
Ecco allora che ti do un indirizzo. Sarò lì tra 15 giorni. Tutto quello che chiedo è di mandarmi in una busta il tuo indirizzo naturalmente se hai tempo e vuoi, senza nient'altro. Se è vero ciò che credo di leggere dalla dolcezza del tuo respiro, ora che siamo rimasti solo noi nello scompartimento e si sente solo lo stridere del mio pennino sulla carta, il rollio del treno e il tuo sonno lieve andrà a vivere nel mio cuore e scriverò quello che mi dice, così forse riuscirai a capire di più l'indelicata invadenza di questo personaggio che non ha trovato niente di meglio che fare che scriverti all'alba del 4 settembre, mentre quando un lampione giallo s'inquadra per un secondo nel finestrino, le tue unghie riflettono il suo bagliore, lo rimandano alla tua borsa color argento e da questa arriva ai miei occhi... l'indirizzo è
                        Danilo …
  E' dove vivono i miei genitori, io di solito vivo a Viareggio. Ecco, ho appena scritto il mio nome e già sembra d'aver rotto l'incanto, avrei dovuto lasciare anonimo questo biglietto, che si perdano le mie parole e il treno le porti via da una città all'altra, da una notte all'altra... siamo ad una fermata, hanno detto all'altoparlante il numero di questo treno, le fermate che fa... io mi stendo alle fermate, fingo di dormire, non voglio che entri qualcuno e ti svegli.
È passato il controllore e gli ho detto che i nostri biglietti li aveva già visti. Non ti ha disturbato, sorellina, non ha nemmeno acceso la luce... tra poco spunterà l'alba, azzurrina e pallida, sulle pianure piemontesi. Io scenderò con le mie valigie e questa voglia di conoscerti.
 Ti sveglierò per lasciarti il biglietto o lo lascerò accanto al tuo corpo addormentato? Non sono il principe della favola da permettermi di svegliarti con un bacio, né le tue palpebre sono chiuse dall'incantamento d'un mago maligno. Farò il gesto che mi verrà, non ha importanza. E tu, se poi avrai la pazienza di leggere tutte queste sciocchezze perdonami l'assurdità di questo inchiostro, butta via , dimentica o -meglio- regalami un sorriso amico d'addio.
 Ho passato una bella serata ieri a Livorno col mio migliore amico, che si chiama Umberto, e oggi vedo il cielo schiarirsi poco a poco, con Venere che brilla appiccicata a mezz'aria e le cose tutte che da nere si tingono adagio adagio dei loro colori. Penso a mio fratello in Sudamerica, alla sua isola sul lago delle Ande e al suo mandolino fatato, vedo i colori delle tue vesti farsi poco a poco più vivi, mi illudo d'aver cullato con il pensiero il tuo sonno e mi va bene così.
 Non volermene, sorellina, e se non dovessimo mai più vederci, buona fortuna e un abbraccio.

                                   Danilo

                                                                  Maria Dulbecco